Warrior Race Villardora – il racconto

Warrior Race Villardora – il racconto

IL PRE-GARA

21 luglio 2019: l’appuntamento per la Warrior Race è a Villardora, un piccolo comune alle porte della Val di Susa, in Piemonte. Gareggio in categoria non competitiva, è la seconda gara della mia vita e sono ancora troppo intimidita per azzardare una competitiva. Gli organizzatori distribuiscono pettorali dalle 8:30, ma la mia batteria parte alle 11. C’è tempo. L’eccitazione è a mille, pregusto già l’adrenalina del dopo, quel sentirsi invincibili, elettrizzati e vivi. So che sarà il momento in cui mi sentirò completa.

Arrivo sul luogo della partenza intorno alle 9. C’è la mia mamma, con me: mi è stata al fianco in tante battaglie ben più importanti di questa, e mi supporterà anche oggi. Sono energica, la colazione proteica sta entrando in circolo. Ricarico con qualche fetta biscottata e miele, mezza banana: zuccheri pronti e spendibili a breve termine, tanta acqua per evitare il rischio di disidratazione.

Sarà durissima, dicono che la prima parte è massacrante. 5 km di salita nel bosco, a seguire gli ostacoli più tecnici.

Mi raccontano in partenza. Meglio non sapere, l’inaspettato ha del fascino: non vedo l’ora di sentire il cuore in gola.

LA SALITA

3,2,1…Via! Gareggiare fra i non competitivi ha il vantaggio di poter scegliere da quale posizione partire. Mi sono inserita in cima, per guadagnare tempo e non rischiare di restare bloccata sul sentiero. Dicono che sarà ripido e stretto. Le gambe mi guidano. Il fiato segue. La testa c’è, e quando malauguratamente si distrae, la riporto lì. Consapevolezza e concentrazione. Fa molto caldo, 35 °C almeno, umidità e sole a picco: devo dosare le forze.

Dopo un primo rettilineo nel paese, con due piramidi di fieno da oltrepassare, inizia il sentiero. Ho il favore dell’ombra, e la pendenza disincentiva molti alla salita: alcuni tornano indietro, altri rallentano, li incalzo, a volte anche a parole: “va bene essere competitivi, ma bisogna pure essere obiettivi, e se non si hanno gambe, è inutile perseverare, per il gusto di tagliarsi il fiato…”

Tengo duro fino in cima e distolgo lo sguardo dal sentiero solo per un attimo, sufficiente per godere del colpo d’occhio su tutta la vallata: non pensavo di essere così in alto.

IL BELLO DEVE ANCORA ARRIVARE

La realtà mi richiama all’ordine, con un ostacolo al quale sono costretta a rinunciare. Un muro impossibile da superare, se si è alti 1,50m e non si ha la tecnica giusta; e io, purtroppo, ancora non ce l’ho. 20 burpees dopo, riparto in discesa, il sole a picco che mi brucia la pelle e il sudore che scorre, fa pizzicare gli occhi.

Sai dirmi a che punto siamo?

Chiedo a un atleta che mi supera, consapevole che il bello (e il difficile) devono ancora arrivare. Ho macinato km, sono la prima delle donne non competitive, mi comunica un giudice davanti alle funi da arrampicare. Lì ho gioco facile, so farlo da quand’ero bambina.

Arrivo giù, nella piana con gli ostacoli, l’acqua, il fango, tutte le stazioni in sospensione. Mi manca il fiato, inizio a sentire la fatica nelle gambe. “Le braccia sono riposate, però”, penso. Mi scappa un sorriso e scende una lacrima quando vedo il mio fidanzato al di là del lago, è arrivato per sostenermi e mi ha sorpreso. Lo stesso ha fatto mia sorella, con le nipotine. Sono felice, mi sento grata alla vita. La fatica non c’è più.

GLI OSTACOLI

Non ho cognizione del tempo, ma sono impaziente di provare gli ostacoli, voglio far meglio dell’altra volta, quand’ero quasi sopraffatta dall’adrenalina. Oggi la controllo, so di avere maggior consapevolezza. E infatti riesco a completare ostacoli in sospensione che non avrei creduto di saper superare. Nuoto, trasporto un pesantissimo carico di pietre che paiono macigni, traziono e sollevo il corpo, mi pare così leggero. Ho difficoltà con lo swing, con l’oscillazione, ma ci provo comunque, ripetutamente, finchè esaurisco la forza nelle mani.

Quando iniziano a tremare gli avambracci e cede la presa, solo lì rinuncio. Ma so che imparerò, è tutta una questione di tecnica. Sono necessari mesi e pazienza, magari per la prossima Warrior Race padroneggerò anche i movimenti che non sento miei. Taglio il traguardo in un’ora e 45 minuti, più felice e assetata che mai. Due litri d’acqua, una doccia fresca e un buon pranzo placano stanchezza e disidratazione; per l’adrenalina, niente da fare. Quella è un bisogno fisiologico.

Alla prossima, Warriors!


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